La successione di Deng: Terza e quarta generazione
Dopo la vicenda di piazza Tian an men che gli aveva oscurato l’immagine a livello mondiale, Deng decise di scendere da tutte le cariche che ricopriva all’ interno del partito e le affidò a Jiang zemin, anche se fino al 1996, anno della morte del piccolo timoniere, fu comunque quest’ultimo a detenere il vero potere politico.
Jiang Zemin, dopo la morte di Deng, divenne il leader indiscusso della Cina. Si determinò il passaggio dalla Seconda Generazione (quella di Deng) alla Terza Generazione di leader cinesi. Nella sostanza, l’era di Jiang Zemin, ha ricalcato quella di Deng: apertura al capitale straniero, riforme in salsa capitalista, ma massima decisione nel confermare pienamente il sistema politico socialista, centralizzato e autoritario. La dicotomia tra riforme e sistema monolitico è la massima contraddizione della Cina contemporanea. Qui si gioca una partita delicatissima e i dirigenti cinesi la stanno vincendo, almeno per il momento. Basta vedere il caso di Hong Kong. L’isola, tornata nel 1997 sotto la sovranità cinese, avrebbe potuto rappresentare un elemento di destabilizzazione politica, avendo fatto propri, durante il secolo britannico di gestione del potere, i meccanismi economici e politici dell’Occidente. Anche qui, la riunificazione pacifica tra continente e isola, porta il segno di Deng e del principio, da lui elaborato, dei ôdue sistemi uno Statoö. Principio volto ad evitare pericolosi effetti domino, principio al quale i dirigenti cinesi si attengono oggi alla lettera. Riepilogando, le dottrine di Deng Xiaoping (liberalizzazione dell’economia e mantenimento del sistema di potere comunista) rimangono e costituiscono la bussola della leadership pechinese. Lo testimonia il recente passaggio dalla Terza alla Quarta Generazione, sancito dal ritiro dalla scena politica di Jiang Zemin, che in occasione del Plenum annuale del Partito ha lasciato anche l’ultima carica rimastagli, quella di capo delle forze armate. Ora il leader assoluto della Cina, diciamo pure il Quarto Timoniere, è Hu Jintao, che assomma, secondo la tradizione cinese e gli esempi di Mao e Deng, le cariche di presidente delle Repubblica, di capo delle forze armate e di segretario generale del Partito. Hu Jintao è un burocrate, esponente della nuova generazione di leader cinesi con competenze accademiche tecniche. Ma Hu Jintao è anche un politico che è stato creato da Deng Xiaoping, che prima di ritirarsi dalla vita pubblica, lo cooptò negli organismi decisionali del partito. E’ qui che si determina la continuità tra Deng e i suoi successori ed è qui che si determina il passaggio di consegne, incruento (il primo nella storia cinese) ai vertici del partito. Per dare un’idea della lealtà di Hu Jintao nei confronti di Deng, basta vedere quello che l’attuale Timoniere ha detto, a proposito delle ipotetiche riforme politiche: ôLa storia insegna che i modelli di potere occidentali non possono essere applicati alla Cina. Ogni qualvolta che è stato fatto, la Cina è entrata in un vicolo ciecoö. Avanti con le riforme, avanti con il partito unico, quindi. Anche se alcuni studiosi fanno osservare che la mancanza di una svolta politica in Cina risulta un ostacolo, per quanto riguarda il pieno ingresso della Repubblica celeste nel mondo moderno e industrializzato. Senza riforme profonde nel tessuto politico, la Cina è sì destinata ad avvicinarsi ancora di più al resto del mondo, ma questo avvicinamento non sarà mai definitivo, rimarranno gli steccati e la Cina non beneficerà fino in fondo delle possibilità che gli offrirebbe una concezione aperta delle relazioni internazionali. Dove ôapertaö è sinonimo di democrazia e pluralismo. Dall’altra parte, come precisato, c’è invece chi osserva che il modello cinese funziona già bene così e che l’equazione ôriforme economiche uguale riforme politicheö è frutto del un modo occidentale di pensare unilateralmente. Ma anche questo dibattito fa parte, a suo modo, della complessa eredità di Deng Xiaoping.
Tratto dalla mia tesina di maturità