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Foto & Video / Clandestini in Cina
« il: 25 Febbraio, 2013, 22:12:05 pm »

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Disinformazione e luoghi comuni / Se la crisi colpisce (anche) i cinesi
« il: 18 Gennaio, 2013, 14:32:29 pm »
http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_gennaio_12/Se-la-crisi-colpisce-i-cinesi-2113516571705.shtml
Gli orientali in difficoltà come gli europei: il 10% dei negozi sta chiudendo. Così scopriamo che sono come noi
Di ANTONIO PASCALE

Un giorno, in un bar dell'Esquilino, ho ascoltato una conversazione tra due signore. Oggetto: comunità dei cinesi. Sono molto chiusi, diceva una delle due. Una volta aveva chiesto, per esempio, a una mamma cinese se avesse voluto mandare il figlio a casa sua, per cena. E la risposta era stata no. Molto, ma molto chiusi, aggiungeva. L'altra signora allora le ha domandato: ma tuo figlio, lo manderesti a casa loro? Eh no! A casa loro, no. Effettivamente è più facile prospettare un'apertura a senso unico: sei tu che devi venire da me. Un po' più complicato fare il tragitto inverso. Già, la comunicazione è un guaio. Con la comunità cinese è, come si dice, un guaio di notte.

L'immaginario è molto pesante. Una delle prime cose che ho sentito a Roma riguardava la presunta longevità dei cinesi: non muoiono mai, si diceva. Non esistono funerali cinesi in città. Ne avete mai visto uno? Che fine fanno? Chissà che strani giri! C'ho anche creduto, alla mancanza di funerali. Finché non ho letto un reportage di Riccardo Staglianò. Dove si metteva in atto un semplice esperimento, come si dice, riproducibile e dunque scientifico. Si andava a controllare al Verano. Ebbene le tombe di cinesi c'erano. Eccome se c'erano.

Insomma, la serie di pregiudizi sulla comunità cinese ha peggiorato la comunicazione, del tipo: se tu non vuoi venire da me è perché siete strani e chiusi, se io non mando i miei figli da voi è perché, appunto, siete strani e chiusi. Queste sensazioni emotive poi fanno da calamita e ne attirano altre. I cinesi copiano, esportano prodotti contaminati, e sono responsabili della crisi occupazionale. Quante volte abbiamo attribuito la colpa della crisi a qualcun altro, prima ai cinesi, poi all'euro, poi alla Germania (crisi che in realtà è iniziata dal 1992 e da allora si è solo aggravata, appesantiti come siamo da privilegi e scarsa capacità innovativa). Ora a proposito di crisi, pare che quest'ultima stia colpendo anche i cinesi di Roma. Alcuni negozi stanno chiudendo, almeno il 10%, pare.

Non so se la notizia ci colpisca perché, appunto, scopriamo che anche i cinesi sono «mortali» e sensibili ai conflitti dei mercati, e dunque migliora la nostra capacità di comprensione empatica, oppure perché, al contrario, pensiamo: ci stiamo liberando di un peso, non devo più invitare nessuno a casa mia. Fatto è che sarebbe un peccato trattare con superficialità l'immaginario cinese.

Gran parte delle scelte prese a Pechino si riflettono inevitabilmente sulle nostre azioni quotidiane e, con ogni probabilità, sulle sorti delle future generazioni d'Europa. Le riforme economiche e la graduale apertura all'esterno hanno consentito l'ingresso nel Paese di tecnologie e competenze - grazie alle quali Pechino ha prodotto per i mercati esteri, beni di consumo che il mondo occidentale ha sfruttato a pieno, mantenendo bassi i prezzi sui propri mercati. Comunque, ora, crisi o meno, è il caso di approfittarne. Compito della sinologia e di tutti noi (io vengo a casa tu e tu nella mia) è cercare di offrire un contributo più critico e informato, di sicuro più analitico. Sono elementi necessari per capire l'importanza di Pechino nel contesto della futura governance globale. E romana, naturalmente.

ANTONIO PASCALE

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http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_gennaio_10/cinesi-in-fuga-da-italia-financial-times-2113486634689.shtml
ROMA - Scappano via dall’Italia e da Roma. La crisi c’è per tutti, certo, ma molti cinesi tagliano corto e hanno cominciato a tirar giù le serrande. Una parte per sempre, altri in attesa di tempi migliori. Nella Capitale il fenomeno si avverte all’Esquilino, ma non risparmia anche altre zone di recente insediamento cinese. A reagire è soprattutto la prima comunità cinese, quella insediatasi oltre vent’anni fa. Si salva la ristorazione, i più colpiti sono i negozi di abbigliamento e di casalinghi. Il nuovo trend, segnalato due giorni fa dal quotidiano britannico Financial Times, trova riscontro nella Città Eterna e gli osservatori della comunità cinese confermano in coro: sempre più cinesi optano per il ritorno in Cina, qualcuno però opta per rotte diverse come l’America Latina.
SCARSA FIDUCIA NEL 2013 - Tra chi ha abbassato la serranda ci sono molti in attesa di tempi migliori. «Ma per il 2013 e il 2014 non se ne parla proprio», spiega Lucia King, da anni ponte tra la comunità cinese e il paese Italia. «Quanti sono andati via? Difficile dare i numeri…Duemila, tremila?». E’ Sarah Fang della rivista Il tempo Europa Cina ad ammettere per prima il nuovo fenomeno. «E’ vero, tanti negozi di connazionali sono ormai chiusi, basta fare un giro per i quartieri a piu alta presenza cinese – spiega la giornalista - . Lo stesso sta avvenendo anche in Spagna, per quel che so».
UN LAVORO NELLO ZEHJANG - «I nostri tornano in Cina, la maggioranza nella regione dello Zehjang di cui sono originari - prosegue Fang -, sono perlopiù uomini adulti che tornano a casa a cercare un lavoro nell’economia che tira in madrepatria, lasciano qua la moglie e i figli che vanno a scuola. In altri casi resta qua il marito e la famiglia torna dai parenti in Cina. E poi ci sono famiglie intere che se ne vanno. Su seicento esercizi che ci sono intorno a piazza Vittorio, secondo me il 10% ha chiuso…».
RIENTRATI IL 60% DEI PIONIERI - Lucia King cerca anche lei di fornire una stima, riguarda la prima comunità arrivata a Roma e che appare la più colpita dalla sindrome ritorno. «Penso che il 60% dei primi cinesi arrivati a Roma se ne sia ormai tornato in Cina – spiega -. Non è solo una partenza definitiva, c’è anche chi fa avanti e indietro in attesa di tempi migliori. E poi c’è anche gente che si sposta in altri Paesi. Dove? Ho amici che si sono spostati in Africa e nel Sud America. Cercano nuove opportunità. I cinesi sono coraggiosi, prendono e vanno». Insomma, si chiude.
PRONTI A TORNARE, SE SERVE» - C’è anche chi chiude «temporaneamente», secondo l’idea che un negozio chiuso costa molto meno, in questo momento, di un negozio aperto. Anche l’ambasciata cinese sta facendo i conti con questi nuovi trend. Spiega il consigliere Yao: «Sì, c’è chi va via, ma molti sono pronti a tornare se l’economia riprende a tirare. Molti hanno il permesso di soggiorno, non lo vogliono buttare via così. Vanno via i più vecchi, certo, ma anche i giovani della seconda generazione. Una parte per prendersi una pausa, e una parte perché è attirata dalla situazione economica cinese e dal suo forte sviluppo». Insomma, la fuoriuscita dei cinesi da Roma e dall’Italia è in pieno corso. Ancora prematuro capire quanto sia definitiva e quanto temporanea. Sta di fatto che i tempi della cosiddetta «invasione cinese» stanno diventando un ricordo sbiadito e lontano.

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http://www.asianews.it/notizie-it/Fuggono-dalla-Nordcorea-per-essere-vendute-in-Cina-come-spose-o-prostitute-17627.html
Tokyo (AsiaNews) – Un fiorente traffico di donne, da usare come mogli o come prostitute, sta crescendo al confine fra la Corea del Nord e la Cina. Il commercio va intensificandosi a causa della cronica povertà e fame della popolazione dominata da Kim Jong-il.
 
Secondo i dati delle autorità cinesi nel 2009 sono entrati in Cina fuggendo dalla Corea del nord circa 25 – 30 mila nord-coreani. Del 40% che rimangono la maggioranza sono donne. Da un’ inchiesta condotta dal giapponese Daisuke Nishimura, giornalista dell’Asahi, le loro condizioni sono spesso umilianti.
 
Sposa per fame
 
Nell’aprile dell’anno scorso il governo di Pyongyang ha indetto una campagna di lavoro agricolo di 150 giorni. Una contadina di circa 30 anni, sola e indebolita dalla denutrizione, ha lavorato senza riposo il suo terreno improduttivo, nel terrore di essere rimproverata dai leaders del villaggio nei raduni di fine-settimana. L’ordine era di lavorare al massimo per aumentare la produttività.
 
All’inizio di luglio, ormai al limite delle forze, ha incontrato al mercato una donna straniera sui quarant’anni che le ha detto: “La Cina è meravigliosa. Là potrai sposare un uomo carino”. Quella donna era un’intermediaria (broker) di traffico umano che di recente è diventato un’industria fiorente a causa dell’aumento di nord-coreani che riparano in Cina per sfuggire la cronica penuria di cibo e le agitazioni del paese.
 
Una settimana dopo l’incontro, la donna, attraversando le montagne di notte, ha raggiunto il fiume Tumen, linea di. confine tra le due nazioni,  l’ha attraversato a nuoto tremando non tanto per il freddo, ma per il terrore di essere vista dalle guardie nord-coreane. Al di là del fiume l’attendevano altri brokers che l’hanno venduta come sposa a un contadino etnico-coreano della provincia cinese di Jilin, presso il confine con la Corea del nord, al prezzo di 6 mila yuan (878 dollari Usa).
 
“Mio marito è stato buono con me”, ha detto la profuga all’intervistatore giapponese. “Sono felice, perché posso mangiare ogni giorno quanto voglio”.
La giovane contadina può dirsi fortunata. È sposata, vive come una buona casalinga e aiuta il marito nel lavoro della campagna. Ma l’odissea non si può dire conclusa. “Benché non sia più ossessionata dalla fame”, scrive il giornalista giapponese, “ha sempre paura di essere arrestata dalla polizia cinese. La Cina non riconosce i ‘disertori’ nord-coreani come rifugiati e, se scoperti, li rimanda indietro. Quindi, legalmente significa che essa non può sposare formalmente l’uomo che chiama suo marito.”
 
Dalla miseria nord-coreana alla prostituzione cinese
 
Altre donne non sono così fortunate. Molte fuggitive vengono inviate nel sud della Cina, dove lavorano come prostitute nelle bathhouses.
 
Il confine tra la Cina e la Corea del nord e’ la via preferita per chi tenta la fuga dalla Corea del nord, perche, dati i rapporti di amicizia tra Pechino e Pyongyang, i controlli di polizia, qui, sono piuttosto blandi. Si calcola che, attualmente in Cina, vivono illegalmente da 300 a 400 mila nord-coreani. Tra di loro molte giovani donne, sono oggetto dell’ignobile traffico umano, realizzato da un’organizzazione non vasta, ma ben organizzata. Si tratta di circa 150 broker cinesi etnico-coreani con “cellule” nella Corea del nord. La loro padronanza della lingua conquista facilmente la fiducia delle fuggitive. Dai managers degli hotels e bathhouses del sud vengono le ordinazioni alle quali rispondono i broker con la collusione delle guardie di confine cinesi
 
Una di loro , intervistata, ha detto che ogni anno aiuta da 40 a 50 nord-coreani a passare il confine. Con riluttanza ha anche detto che nel mese di novembre ha visto un gruppo di giovani donne del nord attraversare il fiume. Vestivano abiti cenciosi e tremavano dal freddo. Un broker etnico-coreano le accolte dal lato cinese e ha offerto un semplice piatto di carne che esse hanno subito divorate. Le donne, alcune non ancora ventenni, hanno poi indossato abiti puliti che il broker aveva preparato per esse e sono state trasportate a una bathhouse nella Cina meridionale, dove avrebbero lavorato come prostitute.
 
Un mese prima lo stesso broker aveva chiesto la collaborazione di quella guardia per rispondere alla richiesta di un cliente di mandargli “parecchie donne di età tra i 18 e i 25 anni”. Le giovani donne furono presto reclutate nel Nord.
 
La tratta delle schiave
 
Se i broker nella patria di partenza sono zelanti nel reclutamento delle giovani donne, quelli etnico-coreani che le attendono al confine cinese sono abili nel  procurare loro carte di identità false e farle procedere per la destinazione fissata: il sud del Paese.
 
Secondo fonti di informazione il “cliente” paga il broker che è in Cina da 6 a 7 mila yuan per ogni giovane nord-coreana: di essi 4 mila yuan vanno nelle tasche della guardia (di confine) cinese e mille in quelle della guardia coreana.
 
I brokers, conclude l’analista dell’Asahi, non vedono segni di declino della loro attività commerciale. Uno di loro dice: “Quanto più la Corea delTokyo (AsiaNews) – Un fiorente traffico di donne, da usare come mogli o come prostitute, sta crescendo al confine fra la Corea del Nord e la Cina. Il commercio va intensificandosi a causa della cronica povertà e fame della popolazione dominata da Kim Jong-il.
 
Secondo i dati delle autorità cinesi nel 2009 sono entrati in Cina fuggendo dalla Corea del nord circa 25 – 30 mila nord-coreani. Del 40% che rimangono la maggioranza sono donne. Da un’ inchiesta condotta dal giapponese Daisuke Nishimura, giornalista dell’Asahi, le loro condizioni sono spesso umilianti.
 
Sposa per fame
 
Nell’aprile dell’anno scorso il governo di Pyongyang ha indetto una campagna di lavoro agricolo di 150 giorni. Una contadina di circa 30 anni, sola e indebolita dalla denutrizione, ha lavorato senza riposo il suo terreno improduttivo, nel terrore di essere rimproverata dai leaders del villaggio nei raduni di fine-settimana. L’ordine era di lavorare al massimo per aumentare la produttività.
 
All’inizio di luglio, ormai al limite delle forze, ha incontrato al mercato una donna straniera sui quarant’anni che le ha detto: “La Cina è meravigliosa. Là potrai sposare un uomo carino”. Quella donna era un’intermediaria (broker) di traffico umano che di recente è diventato un’industria fiorente a causa dell’aumento di nord-coreani che riparano in Cina per sfuggire la cronica penuria di cibo e le agitazioni del paese.
 
Una settimana dopo l’incontro, la donna, attraversando le montagne di notte, ha raggiunto il fiume Tumen, linea di. confine tra le due nazioni,  l’ha attraversato a nuoto tremando non tanto per il freddo, ma per il terrore di essere vista dalle guardie nord-coreane. Al di là del fiume l’attendevano altri brokers che l’hanno venduta come sposa a un contadino etnico-coreano della provincia cinese di Jilin, presso il confine con la Corea del nord, al prezzo di 6 mila yuan (878 dollari Usa).
 
“Mio marito è stato buono con me”, ha detto la profuga all’intervistatore giapponese. “Sono felice, perché posso mangiare ogni giorno quanto voglio”.
La giovane contadina può dirsi fortunata. È sposata, vive come una buona casalinga e aiuta il marito nel lavoro della campagna. Ma l’odissea non si può dire conclusa. “Benché non sia più ossessionata dalla fame”, scrive il giornalista giapponese, “ha sempre paura di essere arrestata dalla polizia cinese. La Cina non riconosce i ‘disertori’ nord-coreani come rifugiati e, se scoperti, li rimanda indietro. Quindi, legalmente significa che essa non può sposare formalmente l’uomo che chiama suo marito.”
 
Dalla miseria nord-coreana alla prostituzione cinese
 
Altre donne non sono così fortunate. Molte fuggitive vengono inviate nel sud della Cina, dove lavorano come prostitute nelle bathhouses.
 
Il confine tra la Cina e la Corea del nord e’ la via preferita per chi tenta la fuga dalla Corea del nord, perche, dati i rapporti di amicizia tra Pechino e Pyongyang, i controlli di polizia, qui, sono piuttosto blandi. Si calcola che, attualmente in Cina, vivono illegalmente da 300 a 400 mila nord-coreani. Tra di loro molte giovani donne, sono oggetto dell’ignobile traffico umano, realizzato da un’organizzazione non vasta, ma ben organizzata. Si tratta di circa 150 broker cinesi etnico-coreani con “cellule” nella Corea del nord. La loro padronanza della lingua conquista facilmente la fiducia delle fuggitive. Dai managers degli hotels e bathhouses del sud vengono le ordinazioni alle quali rispondono i broker con la collusione delle guardie di confine cinesi
 
Una di loro , intervistata, ha detto che ogni anno aiuta da 40 a 50 nord-coreani a passare il confine. Con riluttanza ha anche detto che nel mese di novembre ha visto un gruppo di giovani donne del nord attraversare il fiume. Vestivano abiti cenciosi e tremavano dal freddo. Un broker etnico-coreano le accolte dal lato cinese e ha offerto un semplice piatto di carne che esse hanno subito divorate. Le donne, alcune non ancora ventenni, hanno poi indossato abiti puliti che il broker aveva preparato per esse e sono state trasportate a una bathhouse nella Cina meridionale, dove avrebbero lavorato come prostitute.
 
Un mese prima lo stesso broker aveva chiesto la collaborazione di quella guardia per rispondere alla richiesta di un cliente di mandargli “parecchie donne di età tra i 18 e i 25 anni”. Le giovani donne furono presto reclutate nel Nord.
 
La tratta delle schiave
 
Se i broker nella patria di partenza sono zelanti nel reclutamento delle giovani donne, quelli etnico-coreani che le attendono al confine cinese sono abili nel  procurare loro carte di identità false e farle procedere per la destinazione fissata: il sud del Paese.
 
Secondo fonti di informazione il “cliente” paga il broker che è in Cina da 6 a 7 mila yuan per ogni giovane nord-coreana: di essi 4 mila yuan vanno nelle tasche della guardia (di confine) cinese e mille in quelle della guardia coreana.
 
I brokers, conclude l’analista dell’Asahi, non vedono segni di declino della loro attività commerciale. Uno di loro dice: “Quanto più la Corea delTokyo (AsiaNews) – Un fiorente traffico di donne, da usare come mogli o come prostitute, sta crescendo al confine fra la Corea del Nord e la Cina. Il commercio va intensificandosi a causa della cronica povertà e fame della popolazione dominata da Kim Jong-il.
 
Secondo i dati delle autorità cinesi nel 2009 sono entrati in Cina fuggendo dalla Corea del nord circa 25 – 30 mila nord-coreani. Del 40% che rimangono la maggioranza sono donne. Da un’ inchiesta condotta dal giapponese Daisuke Nishimura, giornalista dell’Asahi, le loro condizioni sono spesso umilianti.
 
Sposa per fame
 
Nell’aprile dell’anno scorso il governo di Pyongyang ha indetto una campagna di lavoro agricolo di 150 giorni. Una contadina di circa 30 anni, sola e indebolita dalla denutrizione, ha lavorato senza riposo il suo terreno improduttivo, nel terrore di essere rimproverata dai leaders del villaggio nei raduni di fine-settimana. L’ordine era di lavorare al massimo per aumentare la produttività.
 
All’inizio di luglio, ormai al limite delle forze, ha incontrato al mercato una donna straniera sui quarant’anni che le ha detto: “La Cina è meravigliosa. Là potrai sposare un uomo carino”. Quella donna era un’intermediaria (broker) di traffico umano che di recente è diventato un’industria fiorente a causa dell’aumento di nord-coreani che riparano in Cina per sfuggire la cronica penuria di cibo e le agitazioni del paese.
 
Una settimana dopo l’incontro, la donna, attraversando le montagne di notte, ha raggiunto il fiume Tumen, linea di. confine tra le due nazioni,  l’ha attraversato a nuoto tremando non tanto per il freddo, ma per il terrore di essere vista dalle guardie nord-coreane. Al di là del fiume l’attendevano altri brokers che l’hanno venduta come sposa a un contadino etnico-coreano della provincia cinese di Jilin, presso il confine con la Corea del nord, al prezzo di 6 mila yuan (878 dollari Usa).
 
“Mio marito è stato buono con me”, ha detto la profuga all’intervistatore giapponese. “Sono felice, perché posso mangiare ogni giorno quanto voglio”.
La giovane contadina può dirsi fortunata. È sposata, vive come una buona casalinga e aiuta il marito nel lavoro della campagna. Ma l’odissea non si può dire conclusa. “Benché non sia più ossessionata dalla fame”, scrive il giornalista giapponese, “ha sempre paura di essere arrestata dalla polizia cinese. La Cina non riconosce i ‘disertori’ nord-coreani come rifugiati e, se scoperti, li rimanda indietro. Quindi, legalmente significa che essa non può sposare formalmente l’uomo che chiama suo marito.”
 
Dalla miseria nord-coreana alla prostituzione cinese
 
Altre donne non sono così fortunate. Molte fuggitive vengono inviate nel sud della Cina, dove lavorano come prostitute nelle bathhouses.
 
Il confine tra la Cina e la Corea del nord e’ la via preferita per chi tenta la fuga dalla Corea del nord, perche, dati i rapporti di amicizia tra Pechino e Pyongyang, i controlli di polizia, qui, sono piuttosto blandi. Si calcola che, attualmente in Cina, vivono illegalmente da 300 a 400 mila nord-coreani. Tra di loro molte giovani donne, sono oggetto dell’ignobile traffico umano, realizzato da un’organizzazione non vasta, ma ben organizzata. Si tratta di circa 150 broker cinesi etnico-coreani con “cellule” nella Corea del nord. La loro padronanza della lingua conquista facilmente la fiducia delle fuggitive. Dai managers degli hotels e bathhouses del sud vengono le ordinazioni alle quali rispondono i broker con la collusione delle guardie di confine cinesi
 
Una di loro , intervistata, ha detto che ogni anno aiuta da 40 a 50 nord-coreani a passare il confine. Con riluttanza ha anche detto che nel mese di novembre ha visto un gruppo di giovani donne del nord attraversare il fiume. Vestivano abiti cenciosi e tremavano dal freddo. Un broker etnico-coreano le accolte dal lato cinese e ha offerto un semplice piatto di carne che esse hanno subito divorate. Le donne, alcune non ancora ventenni, hanno poi indossato abiti puliti che il broker aveva preparato per esse e sono state trasportate a una bathhouse nella Cina meridionale, dove avrebbero lavorato come prostitute.
 
Un mese prima lo stesso broker aveva chiesto la collaborazione di quella guardia per rispondere alla richiesta di un cliente di mandargli “parecchie donne di età tra i 18 e i 25 anni”. Le giovani donne furono presto reclutate nel Nord.
 
La tratta delle schiave
 
Se i broker nella patria di partenza sono zelanti nel reclutamento delle giovani donne, quelli etnico-coreani che le attendono al confine cinese sono abili nel  procurare loro carte di identità false e farle procedere per la destinazione fissata: il sud del Paese.
 
Secondo fonti di informazione il “cliente” paga il broker che è in Cina da 6 a 7 mila yuan per ogni giovane nord-coreana: di essi 4 mila yuan vanno nelle tasche della guardia (di confine) cinese e mille in quelle della guardia coreana.
 
I brokers, conclude l’analista dell’Asahi, non vedono segni di declino della loro attività commerciale. Uno di loro dice: “Quanto più la Corea del nord diventa povera e miserabile, tanto più denaro guadagniamo”.

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http://crisis.blogosfere.it/2012/09/clandestini-in-italia--87-e-non-e-una-buona-notizia.html
Il Ministro Cancellieri pensa di dare una buona notizia, annunciando che gli sbarchi di clandestini in Italia sono passati dalla stima di 60.000 persone del 2011 alle appena 8000 del 2012. Un crollo dell'87%.

8
Attualità / Cinesi, una risorsa per la Toscana ad iniziare da Prato
« il: 23 Novembre, 2012, 00:22:01 am »
http://www.nove.firenze.it/vediarticolo.asp?id=b2.11.21.14.28
PRATO – Molto pubblico per la presentazione a palazzo Buonamici della ricerca “Mi chiamo Chen e lavoro a Prato”, che ha dato vita a un ampio dibattito sulla prima indagine condotta scientificamente, utilizzando i dati dell'anagrafe del lavoro, nella nostra Provincia. Realizzata da IRES e promossa dalla Provincia di Prato, la ricerca indaga i rapporti di lavoro dipendente dei lavoratori cinesi nel quadriennio 2008-2012.

“E' un lavoro serio che apre molte opportunità di approfondimento – ha detto la vice presidente della Provincia Ambra Giorgi aprendo la mattinata – A questo punto sarebbe davvero interessante incrociare i nostri dati con quelli dell'INPS e delle altre Province e Regioni per capire di più sui percorsi di questi lavoratori e sui fattori che influenzano la mobilità. Finora non ci siamo riusciti, ma il mio appello è che bisogna insistere e andare avanti per comprendere meglio questa realtà e poter fare interventi efficaci”.

“Indagare sulla forza lavoro cinese a Prato è il punto di partenza fondamentale per comprendere le dinamiche della presenza di questa comunità, capire i problemi e le potenzialità di intervento”, ha aggiunto anche il presidente della Provincia Lamberto Gestri, mentre Marco Bellandi dell'Università di Firenze, che ha coordinato i lavori della mattinata, ha segnalato come “ormai i distretti industriali nel ricostruire e rafforzare il radicamento locale debbano tener conto dell'extra locale”. Vinicio Biagi ha dichiarato il vivo interesse della Regione Toscana per i risultati della ricerca, che costituisce un supporto importante per il percorso di emersione e di rafforzamento della legalità che si va costruendo insieme alla Provincia e alle autorità cinesi.

A questo proposito il vice console cinese a Firenze Yang Han ha ribadito come per il Consolato la strada della legalità sia fondamentale per costruire rapporti basati sulla fiducia fra le due comunità. “La ricerca è di grandissimo interesse ed è per noi materiale prezioso su cui lavorare per approfondire la conoscenza dei problemi – ha detto Yang – Comprendere le dinamiche del lavoro cinese a Prato ci è utile anche per individuare una strategia che porti un contributo serio allo sviluppo economico del territorio che ci ospita”. Grande disponibilità anche dall'imprenditore e vice presidente della Cna pratese Wang Li Ping che ha indicato come positivo il progressivo inserimento di lavoratori cinesi nelle aziende italiane.

Alla tavola rotonda che ha concluso la mattinata hanno partecipato Andrea Valzania dell'Università di Firenze, Giancarlo Maffei, esperto in relazioni internazionali, lo stesso Wang Li Ping, Paolo Sambo ricercatore Asel, Francesca Fani di Confindustria e Giancarlo Targioni della Cgil.

10
Foto & Video / 温州一家人
« il: 13 Novembre, 2012, 23:42:02 pm »

11
Attualità / Ricco esigente e colto, ecco il nuovo turista cinese
« il: 11 Novembre, 2012, 00:49:05 am »
http://turismocinese.blogspot.it/2012_04_01_archive.html
Segnalo - a chi lo avesse perso - il bell'articolo di Giampaolo Visetti apparso su Repubblica.
"Ricco esigente e colto. La rivoluzione del turista cinese"
Ecco tre spunti:
Entro il 2012 la Cina diventerà il primo paese esportatore di turisti nel mondo, superando la Germania;
Il 2012 dovrebbe essere l'anno del boom cinese con previsioni che parlano di 80 milioni di turisti all'estero (erano 57 milioni nel 2010!);
I ricchi cinesi sono pronti a fare tre vacanze l'anno.
Ecco l'articolo completo:

12
http://affaritaliani.libero.it/economia/prati-crisi-del-tessile030112.html?refresh_ce
Imprenditori e semplici operai, arrivano o partono a seconda della disponibilità di lavoro, verso il centro toscano o altre città italiane. In un anno accertate quasi mille irreperibilità di cinesi formalmente residenti (su meno di 13 mila) La crisi delle aziende asiatiche nel centro toscano del tessile è dovuta anche alla concorrenza del “Made in China”. Ma la mobilità dei lavoratori (e consumatori) cinesi ora preoccupa per l’impatto sull’economia locale
Martedì, 3 gennaio 2012 - 11:42:33
Trascinandosi dietro piccoli trolley, si vedono scendere alla stazione di Prato, camminare lungo le strade della città. Come si può partire dalla Cina con un bagaglio così piccolo? La risposta è semplice:non arrivano dall'altra parte del mondo, ma da altre città d'Italia. La mobilità della manodopera è riconosciuta come uno degli assi nella manica dell'imprenditoria cinese a Prato, capace di richiamare forza-lavoro attraverso una rete di passa parola. Arrivano gli ordini dai clienti, arrivano le braccia capaci di esaudirli. Finito il lavoro sono pronti a ripartire. Magari nascosti nel cono d'ombra della loro presenza illegale sul territorio nazionale e del lavoro nero, in barba a chi vorrebbe contarli, inquadrarli, regolarizzarli.

Molta della presenza cinese a Prato rientra in questi casi. Quale sia la percentuale sul totale dei residenti registrati può essere frutto solo di stime approssimative. Ma non sono estranei a questa logica neppure i 12.940 cittadini di origine cinese iscritti all'anagrafe comunale al 30 settembre 2011. Li accomuna la stessa motivazione di fondo: sono partiti in cerca di fortuna, se a Prato i soldi non li fanno più si spostano da un'altra parte. Secondo il Dossier Statistico Sociale 2011 prodotto dalla provincia di Prato, nei 7 comuni pratesi al 31 dicembre 2010 abitavano 33.874 stranieri, pari al 13,6% dei residenti totali (nel 1996 erano il 2%). Il 39% degli stranieri erano cinesi.

All’1 gennaio 2011 in provincia di Prato i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro erano il 66,5% deltotale, un dato più alto rispetto a Toscana e Italia (in entrambi i casiintorno al 55%). Oltre vent'anni fa la città toscana ha cominciato a esseremeta dell'immigrazione cinese perché l'economia era forte, offriva molte opportunità e loro erano benvenuti o almeno ignorati. Ora i tempi delle vacche grasse sono finiti, il comparto tessile è a pezzi e la crisi sta arrivando anche alle confezioni, un settore della produzione pratese storicamente marginale, occupato e potenziato in questi anni proprio dagli imprenditori cinesi. Dal 2001 al 2010 il settore manifatturiero nella provincia di Prato è passato da 46.000 a 33.000 occupati.

L’Istat stimava a fine 2010 circa 8.400 persone in cerca di occupazione, pari a un tasso di disoccupazione del 7,2% a fronte di un dato medio toscano del 6,1%. E sono dati che riguardano quasi esclusivamente gli italiani. Le imprese cinesi sono riuscite a vivere e prosperare più a lungo, ma anche per loro è arrivato il momento della crisi. Le ultime cifre ufficiali, diffuse a gennaio 2011 dalla Camera di Commercio pratese, indicavano in 3.570 le aziende di imprenditori cinesi attive in provincia nel solo settore manifatturiero e un trend ancora in crescita. Ma l'aumento era già ridimensionato rispetto all'anno precedente e i dati esaminati risalgono al 31 dicembre 2009. E arrivano segnali di movimento non solo tra la "manovalanza". Negli ultimi 11 mesi la polizia municipale ha accertato oltre 1.000 casi di irreperibilità tra gli stranieri residenti nel comune di Prato, il 90% dei quali tra cinesi. Nuclei familiari che potranno essere cancellati dall'elenco dei residenti solo il prossimo anno, ma che già non abitano più in città.

L'ESODO DEI CINESI -  Il resto d'Italia. O l'Europa del nord. Sembrano queste le mete preferite dai cittadini cinesi che lasciano Prato. Sono noti i casi di imprenditori che hanno già spostato le aziende in altre regioni italiane, sia a nord che a sud, come conseguenza della pressione delle forze dell'ordine sulle imprese di proprietà cinese contro le irregolarità che garantiscono un abbattimento dei costi tale da creare concorrenza sleale. Oppure nei Paesi del nord Europa, dove l'economia è più forte. E' invece una novità leggere sull'edizione on line del Global Time, quotidiano di Pechino in lingua inglese, un'inchiesta sulla tendenza al ritorno in patria degli imprenditori cinesi a Prato (definita nel titolo il "cortile cinese d'Italia"), presa a esempio dell'escalation del debito pubblico europeo. A sostegno di questa tesi, l'inviato di Pechino porta come concause sia gli straordinari cambiamenti in corso in Cina, sia difficoltà locali di altro genere.

Ma forse il giornalista del Global Time si è lasciato un po' trascinare dal patriottismo. Non si torna indietro facilmente se i figli sono nati qui (al 30 settembre 2011, dei 12.940 cittadini di origine cinese iscritti l'anagrafe comunale 2.011 lo sono dalla nascita). E non si torna indietro se non si è diventati ricchi. In Cina come altrove, nessun immigrato vuol essere considerato un "perdente", uno che non ce l'ha fatta. Meglio rimanere in Italia a lavorare 15 ore al giorno per guadagnare 700-1.000 euro al mese: la metà equivale a 4-5 stipendi in Cina ed è una bella cifra da mandare mensilmente ai familiari rimasti a casa. Rinunciarvi non è semplice. Ci si sposta, questo sì, sempre alla ricerca della fortuna. E così anche da Prato ci si può muovere per motivi e direzionidifferenti.

Non ci sono ancora dati ufficiali, il "tempo reale" si nutre delle voci della strada. I rumors italiani sono concordi: "Stanno diminuendo". Lo confermano i gestori di un bar in via Pistoiese e di una tabaccheria in via Strozzi, nel centro del quartiere cinese, che insieme alle loro impressioni di commercianti riportano i discorsi dei clienti orientali: cominciano a essere in crisi le piccole imprese, proprio quei laboratori diconnazionali che insieme alla manodopera "a chiamata" garantivano l'elasticità della produzione e la pronta risposta alle esigenze del mercato. Non hanno fatto in tempo a fare fortuna a Prato e adesso sono pronti a spostarsi. Tra i motivi della crisi, c'è anche il paradosso della concorrenza dei prodotti confezionati in Cina, che nonostante il costo del trasporto riescono a mantenere prezzi più bassi del "China made in Italy". Sempre di più sbarcano container di abiti finiti, dove finora arrivavano in gran parte container di tessuti a maglia.

Erano il cuore di un business cavalcato per anni da importatori pratesi: comprare tessuti a stock dai cinesi in Cina e rivenderli al dettaglio ai cinesi a Prato. Anche loro avvertono un calo delle vendite. La tanto teorizzata economia "parallela" degli immigrati cinesi, di fatto "parallela" non è mai stata. Se ne stanno rendendo conto anche i pratesi più ostili verso un'immigrazione così massiccia e l'auspicata "sparizione" dei cinesi dal territorio non è più un sogno, ma un incubo: quale sarebbe l'impatto sull'economia locale? I 12.940 cittadini pratesi di origine cinese non acquistano solo nei negozi dei connazionali. Sono appassionati consumatori di beni di lusso, dalle auto ai cellulari, dai prodotti griffati ai vini toscani, per la gioia dei commercianti della città. Pagano l'affitto per capannoni che senza di loro sarebbero vuoti, pagano fornitori e servizi per le loro attività imprenditoriali (dal commercialista all'istituto di vigilanza), pagano prodotti venduti nei negozi del centro storico e in italianissimi supermercati. Un esempio dall'Unicoop pratese: uno su quattro dei nuovi associati nel 2011 è cinese, in totale hanno già superato la soglia dei 4.000.

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Attualità / Cosa ne pensa Roberto Maroni per la sanatoria si quest anno?
« il: 17 Ottobre, 2012, 01:56:57 am »
http://www.padania.org/politici/roberto-maroni/207532-immigrati-maroni-sanatoria-per-400mila-sara-guerra-totale.html

27 Luglio 2012 - 12:45 (ASCA) - Roma, 27 lug - ''Sanatoria per 400.000 clandestini? No Grazie. Guerra totale contro questo ennesimo atto criminale del governo. Prima Il Nord!''. Lo scrive Roberto Maroni, segretario federale della Lega Nord, sulla sua pagina Facebook.

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Attualità / Cina Pechino come gli Stati Uniti 'Aiuto,ci sono troppi obesi'
« il: 11 Settembre, 2012, 02:13:26 am »
http://mondo.panorama.it/orientexpress/Cina-ginnastica-obbligatoria-contro-l-obesita
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/04/20/cina-pechino-come-gli-stati-uniti-aiutoci.html

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/04/20/cina-pechino-come-gli-stati-uniti-aiutoci.html

Quattrocento milioni di under 20 non fanno più di un' ora di esercizi fisicia settimana. La star olimpica degli ostacoli, Liu Xiang, ha dichiarato che «il Paese sta perdendo forza». L' incubo delle autorità è meno sportivo: iniziano a temere che la Cina, battuta la fame, possa morire di grasso.

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