Qualche riga per raccontare l'esperienza di un viaggio organizzato low cost. Scrivo un po' più del solito perché non avendo potuto portare la videocamera (perché si bagna) ci tengo a scrivere due ricordi veloci finché ce li ho ancora in mente.
Desiderosi di vedere un po' di Cina non troppo lontana, questa volta da turisti, consapevoli che l'albergo non sarebbe stato il massimo e che ci saremmo dovuti sorbire uno o due sponsor, ci siamo presi un viaggio organizzato a 400yuan a testa: pullman per Qingyuan, nel Guandong, due pranzi una cena e una colazione, visita al tempio taoista del gallo d'oro con annesse grotte, pernottamento una notte, trekking sui torrenti di montagna, rafting di ben 6km sulle rapide di un torrente in piena, terme notturne all'aperto.
L'appuntamento è alle 8, quindi aspettiamo un taxi davanti a casa ma già l'inizio non è spettacolare: mi accorgo di avere la tosse e un bruttissimo raffreddore maturato la notte stessa evidentemente. In Cina non è strano girare con la carta igienica in mano, si usa anche a tavola al posto dei fazzoletti di carta, così mi premunisco di un bel rotolo e, non trovando un taxi per ben 5 minuti, decidiamo di affidarci a un costoso taxi abusivo su una macchina rottame. Il tizio chiede una cifra ragionevole. Ci porta scoppiettando alla meta desiderata, dove ci accorgiamo che c'è un caos assurdo: decine di bus si fermano incastrandosi uno nell'altro e suonando all'impazzata, con centinaia e centinaia di persone che cercano disperatamente il proprio pullman. Mi si dice che in Cina è normale così. Noi sappiamo che il nostro ha il numero 1432 ma non lo vediamo. Chiamiamo il guidatore, che però ci risponde in cantonese. Fortunatamente Xian parla anche un buon cantonese e così apprendiamo che il bus deve ancora arrivare. Dopo 10 minuti facciamo un'altra telefonata da cui apprendiamo che il pullman è a più di 200 metri da noi e che eravamo gli ultimi. Perché gli altri hanno visto il pullman e noi no? Mistero. Corriamo e saliamo. Nel pullman c'è l'aria condizionata e io che nel frattempo tra il caldo tropicale di Shenzhen la corsa e i motori dei pullman ero già sudato fradicio ho subito pensato: “questa sarà la mia tomba”.
La guida è simpaticissima, un bel ragazzo molto cantonese che parla uno stentatissimo mandarino e dà indicazioni in cantonese all'autista. Comincia a parlare e invece di spiegarci dove andiamo, comincia a intrattenere la gente con indovinelli ameni che Xian tenta di tradurre, ma a metà la sventurata si ferma e mi dice che tali indovinelli sono troppo stupidi. Io intanto continuo a soffiarmi il naso e ad appisolarmi. Benedetto fu il rotolo di carta igienica.
Dopo tre ore mi sveglio con la schiena a pezzi, la cervicale a livelli insostenibili, tosse al quadrato, probabile febbre e un bisogno impellente di riempire almeno 700 fazzoletti. In quel momento vedo fuori dal pullman il ristorante in cui tutti si stanno riversando per mangiare. Mi faccio coraggio e vado. C'è un rumore inenarrabile: solo chi è stato in uno di quei grandissimi ristoranti di provincia in Cina sa il livello di rumore che può raggiungere una sala immensa stipata di gente all'inverosimile che urla a squarciagola. Tutti urlano, anche solo per dire al vicino “vuoi del tè?” si alzano e lo urlano. La roba da mangiare è buona, anche se poi saprò che ai nostri compagni di viaggio cantonesi non è piaciuta (“troppo del nord” sostengono, quindi cominciano a dire roba da leghista sulla gente del nord, dopodiché parlano di fare il “giro del drago” che, mi dicono, corrisponde più o meno all'italiano putan-tour, per cui è famosa Qingyuan).
Di nuovo in pullman, dopo pochi minuti siamo a far trekking. Ci sono immensi spogliatoi con una puzza di piscio incredibile (Xian invece poi mi dirà che quelli delle donne sono puliti e ben tenuti) e io mi chiedo perché mi devo spogliare per fare trekking. “Perché poi si fa rafting!” mi si risponde. Poi, aggiungono: “ah, occhio, l'acqua è fredda”. Io so già che la mia salute se ne andrà, ma mi butto. Entro nel cesso invece di cambiarmi davanti a tutti (un occidentale si vede troppo) e tenendo il cambio appeso alla bocca riesco con abili contorsionismi a mettermi i pantaloni facili da asciugare e la maglietta sacrificabile senza toccare nemmeno un centimetro delle luride pareti. Esco, ripongo la roba in pullman e mi appresto a fare trekking.
Da questo punto in poi quello che sembrava l'inferno si trasforma in paradiso: la bellezza del percorso, tra ponticelli (anche di corda, sospesi, da brivido) e scalette e sentieri sui torrenti è meraviglioso. Dura quasi un'ora e ogni momento è indimenticabile. La Cina si conferma uno scrigno di tesori paesaggistici senza eguali.
Alla fine del percorso è ora di fare rafting: ci mettono tutti in fila, ci danno un casco, un salvagente e volendo – previo pagamento – una pistola ad acqua o un secchiello per togliere l'acqua dal canotto. Noi ci limitiamo all'attrezzatura e saliamo in questo canotto da due. L'acqua non è fredda in realtà: è che qui sono cantonesi e il freddo non sanno cos'è. Più o meno è come l'acqua del mare ai lidi ferraresi dove vado ogni estate :-)
I canotti sono parecchi e un signore con un bastone sulla riva ci spinge nelle rapide. A quel punto incomincia una discesa all'inferno: ettolitri di acqua mi vengono spruzzati in faccia, non si vede più nulla, il canotto scivola e salta con contraccolpi micidiali tra le urla della gente. No so come arrivo vivo in un punto calmo, dove incontro tutti gli altri canotti. La gente è un po' spaventata, qualcuno s'è ribaltato ed è stato soccorso, qualcuno ha perso il casco, comunque la stragrande maggioranza ha apprezzato e comincia a spruzzare acqua sul vicino. Ovviamente io, unico occidentale, sono il bersaglio più colpito. Mi passano davanti, dicono “hello!” e mi rovesciano acqua addosso. Normalmente tollerabile ma con la febbre e il raffreddore, no. Fortunatamente vediamo un casco galleggiare: forse il proprietario ha rinunciato o forse ne ripescheranno la salma a riva, chissà, non importa, noi ci appropriamo del casco e lo usiamo come micidiale spara-acqua contro chi osa bagnarci. La furia omicida di Xian è letale; presto i più bulli rinunciano sopraffatti dalla potenza di fuoco, ma quando stiamo quasi per cantare vittoria comincia il secondo dei ventisei tratti di rapide. Mi rivedo facilmente con lo sguardo tra l'ebete e il disperato mentre mi giro verso un'ipotetica telecamera a dico: «Ventisei..?". Ancora brivido e velocità, schianti folli. Ma basta tenersi ben stretti e l'avventura in mezzo alla natura è semplicemente mozzafiato.
Ci cambiamo con vestiti asciutti (potevamo venire in costume: è come immergersi completamente e ripetutamente) e ci portano a mangiare. Altro mega ristorante: stesso rumore, stessa qualità di piatti, stesso buon apprezzamento da parte nostra e poco da parte di alcuni cantonesi del gruppo.
Ci portano quindi in hotel. La città è brutta: grigia, devastata dallo sporco ovunque e da case molto diroccate, traffico impazzito in cui tutti suonano e ognuno va come gli pare, baracche che vendono le solite cose, contadini che vendono frutta agli angoli delle strade e quindi la vendono completamente ricoperta di smog, minimarket con roba scaduta. Per non parlare dell'hotel: effettivamente se ci fosse una gara “the filthiest hotel ever” questo potrebbe piazzarsi bene. Sul pavimento ci fanno pure gentilmente trovare due o tre biglietti da visita con pubblicità di prostitute locali. Ma comunque la stanza è grande e con aria condizionata, noi stiamo bene attenti a non toccare nulla, facciamo un riposino di una mezz'oretta e scendiamo per la gita alle terme notturne.
Si tratta di un posto enorme, pieno di laghetti e ponticelli, bellissimo. Per ogni vasca c'è scritta la temperatura, è tutto all'aperto e al massimo con piacevolissimi tetti di legno. Ci sono anche vasche con fondo naturale di sassi, alcune col legno, altre con le cascate. Iniziamo con l'acqua tiepida, poi ne troviamo una molto calda per la media delle persone che però a noi piace, siamo da soli, e attorno a noi tanti calicantus che ci inebriano. È la felicità.
Tornato a casa constato di non stare più poi così male, mi butto a dormire vestito e la mattina mi sveglio che non sto affatto male. Certo, continuo a usare centinaia di fazzoletti e a tossire di tanto in tanto, ma pensavo proprio peggio.
La mattina è riservata alla colazione. Ci sono dei buns molto buoni e dolci tra le varie cose: ne faccio incetta. Da italiano, l'unica abitudine cinese che non riesco ancora a trovare normale è quella di mangiare roba salata e addirittura carne di prima mattina. Gli inglesi non fanno una piega. Io no: ma la Cina è bella perché ha una varietà enorme di qualsiasi cosa, compreso il cibo che trova sempre la mia preferenza fra tanta offerta.
È ora della televendita: le gite così poco costose sono sponsorizzate da ditte che si vanno a visitare, ti fanno la presentazione di un prodotto che però poi non sei obbligato a comprare. È uno scotto da pagare, che a me piace anche, perché comunque antropologicamente è interessante e infatti non potevo sperare di meglio come antropologia: ci portano in un'azienda che alleva cervi dalle cui corna ricava medicine tradizionali cinesi.
Arrivati, ci sono dei cervi ben tenuti e piuttosto felici in spaziosi recinti. Notiamo che alcuni di loro hanno le corna recise. Il mio terrore è che gliele taglino così, visto che peraltro la Cina pur avendo una legge sugli animali in via d'estinzione non ha ancora una legge sugli animali domestici e di allevamento: in Cina non è illegale torturare un animale, lo si vede visitando una qualsiasi pescheria, e d'altronde non si può chiedere una sensibilità del genere a un popolo che in stragrande quantità è ancora completamente rurale. La presentazione scorre veloce: noto che nel gruppo qualcuno crede a queste scemenze, ma la maggior parte, soprattutto i giovani, non solo sono scettici ma ridono apertamente in faccia alla signora che presenta il prodotto. È un'industria della superstizione dopotutto, non diversa dalle nostre varie industrie omeopatiche o di beveroni per dimagrire. Fortunatamente la signora però ci tiene a dire che i cervi vengono anestetizzati prima della recisione del palco e io faccio un sospiro di sollievo. Finita la presentazione me ne torno in pullman senza ovviamente comprare nulla, ma durante il tragitto non posso non notare alcuni turisti tipicamente vestiti da cafone arricchito che fanno finta di dar mangiare ai poveri cervi che accorrono ingenui, ma in realtà i turisti ritirano la mano e ne approfittano per toccare le corna del cervo. Ridacchiando.
Simili manifestazioni di idiozia e ignoranza non sono tollerabili nemmeno considerando l'interesse antropologico da osservatore esterno. Passando credo di averli schizzati di fango. Quel bel fango indelebile di quelle zone. Ridacchiando. Spero che fossero vestiti molto, molto costosi.
Segue visita al tempio del gallo d'oro. Un tempio antichissimo taoista. Io sono già stato in queste gite e so bene che le guide fanno in sostanza due gite diverse in una: portano i ricchi ignoranti a far il tour della superstizione e chi ha studiato nel posto bello di interesse culturale. Infatti vedo che appena arrivati, la guida comincia a menarla su quanti giri bisogna fare intorno al gallo per avere un buon feng shui, quant'è costato quel coso nuovo che han fatto là, quanti anni di fortuna porta se entri con la gamba destra in quel tempio, e altre amenità del genere. Li porta a fare il giretto del tempio nuovo con orribili lucette elettriche che adornavano una statua di plastica, e alcuni turisti della specie succitata di «cafone arricchito» vedo che comprano santerie varie senza fare una piega. Nulla di diverso dal nostro turismo alla Padre Pio, sia chiaro, non è una cosa contro i Cinesi. Diciamo che su queste cose tutto il mondo è paese.
Poi però la guida, mentre i superstiziosi stanno chiedendo fortuna comprando pezzi di plastica, ci porta nel vero tempio antico, ossia una grotta di una bellezza devastante con rocce assurde che ricordano appunto un gallo d'oro e che furono lo stimolo per il pellegrinaggio di monaci e di costruzione di tempietti non permanenti per circa 1600 anni. Il posto merita una visita: ci sono iscrizioni antichissime, percorsi tra laghetti e stalattiti, rocce dalla strana forma naturale e altre scolpite mille anni fa per far prendere le forme richieste dal feng shui, e così via. Questa è una delle caverne visitabili più belle del mondo: usata come tempio da tempi antichi e quindi permeata da un'atmosfera affascinante che sposa le mirabili opere umane accumulate nei secoli con le spettacolari opere dell'erosione naturale.
Segue visita a un altro sponsor, questa volta più interessante commercialmente anche per me: una ditta che fa cose solo con la fibra di bambù. So bene che questa fibra è davvero buona, specie per climi caldi come questi, quindi alla fine della dimostrazione (peraltro interessante perché tutta basata sul processo di produzione e non sulla decantazione di proprietà mirabolanti del bambù come invece temevo) abbiamo pure comprato un paio di cosette che in Italia non si trovano. A prezzi comunque irrisori.
Segue gita in barca in una gola di una bellezza devastante. Sulla barca si mangia (davvero malino però stavolta) e sembra di essere in mezzo al finale di Lord Of The Rings, con navi cinesissime che sembrano uscite da quei film sulla guerra dell'oppio e montagne alte e ripide, ricchissime di vegetazione tropicale, che segnano il percorso del placido e caldo fiume che riempie la valle.
Spossati torniamo in pullman, che ci riporta a Shenzhen: lo vediamo all'improvviso quando riapro gli occhi e appaiono attorno me grandi strade vive e pulitissime, centri commerciali coloratissimi e grattacieli avveniristici. Shenzhen sembra davvero un altro mondo.
Prossima gita, stavolta lunga: Inner Mongolia. Poi restiamo un po' a Changchun, città natale dei genitori di Xian. Ne approfitterò anche per vedere Harbin e il terribile museo sull'Unità 731.