vorrei partire dalla seguente notizia
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLi ... iew=Libero presente dal 28.09 sulle news del Forum, per aprire una riflessione seria (spero marcowong, che se ne intende certamente più di me, mi aiuti) su 2 elementi intrecciati fra loro :
- le nuove tendenze delle strategie di espansione economico-comerciale cinesi in Italia;
-la profonda differenza fra tali strategie e le retrograde polemiche protezionistiche diffuse in Italia (dai media e non solo) sulla base del sommarsi di cecità e stereotipi.
"Il Sole24ore", che come sapete é il quotidiano della Confindustria, é molto attento (a differenza dei normali media che influenzano però l'opinone pubblica e gli amministratori italiani) al senso di quella notizia sulla Sergio Tacchini e sottolinea:
"Un'operazione il cui significato va ben oltre il salvataggio di quello che, fino a una ventina d'anni fa, era uno dei marchi dell'abbigliamento made in Italy più conosciuti e apprezzati nel mondo. Per una ragione molto semplice: è la prima volta nella storia che i cinesi riescono a mettere le mani su un'azienda e un brand italiano di fama internazionale."
ed aggiunge i seguenti dati ineressantissimi:
"il gruppo cinese intende trasformare la Sergio Tacchini in un brand destinato alla fascia di mercato tempo libero-smart casual, diretto soprattutto ai giovani che amano vestire lo stile italiano.
Il progetto per Sergio Tacchini rientra nella strategia di Billy Ngok che prevede nel giro di qualche anno la creazione di una miniholding del lusso a portata del grande pubblico; anche tramite l'acquisizione di marchi famosi ma dall'immagine appannata.
Già oggi Hembly è fornitore in outsourcing (tra queste figurano anche Benetton, Diesel, Armani Jeans, Lotto, Hugo Boss, Valentino), oppure è distributore sul mercato cinese (Moschino, Stonefly, Sisley). Nel primo semestre 2007, il gruppo ha realizzato un giro d'affari di 32,5 milioni di euro, con un aumento del 40% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente."
A me pare che questo mostri una strategia che rapidamente (l'avvio del boom dell'export cinese nel tessile e calzature data solo a 5-7 anni fa) sta superando la fase ed il livello dell'offerta di prodotri di basso livello e basso prezzo, da un lato, e di lavorazioni come subfornitori di quei grandi marchi (italiani ed occidentali in genere) che lucrano profitti immensi su quelle produzioni cinesi.
Sta iniziando il posizionamento di imprenditori cinesi nei settori alti e medio-alti del mercato dell'abbigliamento/calzatura e l'acquisizione di brand famosi italiani (e occidentali), mentre in altri settori (in cui l'Italia non ha brand importanti a parte quelli di origine pubblica) come le telecomunicazioni, da anni la strategia é di ingresso diretto, come mostra il caso del gruppo Hutchison Whampoa (di Hong Kong).
Questo a mio parere rende arretrate le polemiche diffuse in Italia contro l'esplosione di import tessile e paratessile dalla Cina, di fascia bassa, perché tali polemiche (oltre che essere in contraddizione con l'esaltazione del "libero commercio" pure fatta ogni giorno dai loro stessi autori o da chi li paga e con le pratiche di delocalizzazione e uso delle subforniture care agli imprenditori italiani e occidentali: si vuole la moglie ubriaca e la botte piena???) mostrano he non i si acorge dell'apertura della nuova fase e da parte delle imprese italiane non si investe in ricerca ed innovazione (tecnologica, di ciclo, di prodotto, d'immagine, distributiva) ma si piange, si piange, si piange o si accusa.
Tutto ci? riguarda però non solo gli imprenditori (Italiani o Cinesi o di ogni tipo), ma chi lavora nelle fabbriche, nel commercio, nei servizi alle imprese, gli operatori commerciali (Italiani o Cinesi), chi studia e domani dovrà trovare un lavoro, chi consuma, osssia tutti.
Non si potrebbe favorire una riflessione non accademica ed astrusa, ma anche non faziosa e xenofoba, su questi temi, anche coinvolgendo rappresentanti di aziende cinesi ed italiane, sindacalisti, rappresentanti del commercio equosolidale, operatori socioantropolgici che si sono occupati delle delocalizazioni, giornalisti, associazioni cinesi ed italiane di piccoli commercianti?
Non penso a megaconvegni (passerelle costose e spesso inutili), ma a cicli di semplici incontri a 2-3 voci, a costo zero, per aiutarsi a capire e programmare.